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Jessica e Sara, un passato difficile fra eroina e violenza psicologica “In comunità per tornare a vivere”

Per le mamme è un'opportunità per riprendere in mano la propria vita, per i bambini è l'inizio di un percorso che porta al futuro. Le comunità "Luna stellata" e "Stella del mattino" della Fondazione La Ricerca ospitano attualmente dodici mamme

Luna stellata

Per le mamme è un’opportunità per riprendere in mano la propria vita, per i bambini è l’inizio di un percorso che porta al futuro. Le comunità Luna Stellata e Stella del mattino della Fondazione La Ricerca ospitano attualmente dodici mamme (rispettivamente sette e cinque) che hanno avuto un passato complicato, o per problemi legati alla tossicodipendenza o per situazioni familiari al limite. In comunità ci sono anche i loro figli, 14 bambini fra zero e sei anni. Siamo andati a trovarle nella loro “casa speciale” che si trova alla Magnana a Piacenza e abbiamo scambiato qualche parola con loro. Di seguito riportiamo le esperienze di Jessica e Sara.

Il cortile comune delle due comunità

Jessica ha trent’anni. Gli ultimi tre li ha trascorsi nella “casa speciale” della comunità Luna Stellata, dopo che il Tribunale dei minori le ha dato la possibilità di uscire dal tunnel della droga. Tre anni li ha compiuti da poco sua figlia, che con la madre condivide l’iniziale del nome. Jessica era ancora incinta quando è stata messa di fronte a una scelta cruciale: dire basta alla vita precedente, dominata dall’eroina, oppure lasciare che la sua bambina venisse data in affido. Due mesi dopo la nascita di J., dunque, insieme hanno varcato per la prima volta la porta di Luna Stellata. Il percorso tossico di Jessica è stato graduale. “A tredici anni ho avuto i primi approcci con hashish e marijuana – racconta – poi ho cominciato ad abusare di alcool. A diciotto anni ho iniziato ad assumere cocaina, ne facevo un uso massiccio. E infine, da quando ho conosciuto il ragazzo che sarebbe poi diventato il padre di J., sono caduta nel tunnel dell’eroina. La mia vita, da quel momento in poi, ha iniziato a ruotare completamente intorno alla droga: prima avevo una bella vita, abitavo da sola e svolgevo due lavori, come ricamatrice nell’azienda di famiglia dalla mattina al pomeriggio e come barista fino a sera tardi. Avevo un’automobile e una vita regolare, ma da quando sono caduta nell’eroina mi sono lasciata andare”.

“Da tre anni ormai non faccio più uso di eroina – dice Jessica -, la comunità è una risorsa preziosa che mi ha permesso di fare dei passi avanti. In primis, sulla consapevolezza: all’inizio ero demotivata, pensavo a far passare il tempo senza rendermi conto del percorso. Con gli anni però ho capito che la terapia individuale aveva un obiettivo preciso e stava funzionando”. La famiglia di Jessica è sempre stata presente. “Mio fratello è anche lui in comunità, in un’altra provincia, e ci sentiamo spesso. I miei genitori insieme a mia sorella e al suo compagno mi vengono a trovare e due volte al mese portano mia figlia J. al parco o a prendere un gelato o a fare una passeggiata”. Il papà di J., invece, si è disinteressato. “Ho capito che la nostra relazione si basava solo sulla droga – ammette Jessica – non avevamo nient’altro in comune. All’inizio diceva di voler essere presente, ma poi non si è più fatto vivo”. Il percorso di Jessica in comunità sta per terminare. “Alla fine di quest’anno – dice – dovrei trasferirmi nell’appartamento offerto dalla comunità (è l’ultimo passo, comunque sorvegliato, prima della libertà, nda). Quando il percorso sarà finito mi piacerebbe tornare nella mia città e fare il lavoro che mi piace: cercherò corsi di formazione per ottenere un attestato professionale da ricamatrice e applicatrice”.

Luna stellata

 

Sara (nome di fantasia), 22 anni, è entrata un anno e mezzo fa a far parte della comunità Stella del mattino. Ha scelto lei di farlo, dopo che la situazione familiare – specialmente i rapporti con i parenti del compagno – era diventata insostenibile. “Mia suocera si comportava come se fosse la madre di mia figlia – racconta -, voleva decidere tutto lei, e il mio compagno A. la appoggiava e la assecondava. La situazione diventava sempre più pesante e così, dopo due anni, ho detto basta e sono andata via di casa. In quel periodo ero incinta del secondo figlio. Ho vissuto tre mesi con mia madre, che però non poteva ospitarmi. Dunque, ho chiamato i Servizi sociali: volevo fare un percorso in comunità, avevo bisogno di testimoni che vedessero e valutassero le mie capacità genitoriali. Volevo che qualcuno mi dicesse se ero brava o no come madre”.

Quando Sara è arrivata in comunità, il suo bambino era ormai pronto per nascere. Infatti, passarono solo otto giorni prima del lieto evento. “Il papà non ha mai accettato il fatto che io sia andata via – racconta Sara -, è venuto per due volte agli incontri con suo figlio ma poi non si è più presentato”. La prima figlia di Sara vive ancora con la famiglia paterna: c’è un decreto che ne assegna la custodia alla madre, ma i Servizi sociali non riescono ad applicarlo a causa delle opposizioni della famiglia. “La tengono tutta per sé – commenta amaramente Sara – io non la vedo da sei mesi”. La famiglia d’origine di Sara è molto presente. “Ho ottimi rapporti con mia madre e mia sorella, appena possono mi vengono a trovare. Quando uscirò cercherò un lavoro e tornerò a vivere vicino a loro. Non ho una preferenza, mi basta lavorare e essere autonoma”. Un’autonomia, all’interno della comunità, Sara l’ha già ottenuta. Da circa sette mesi può uscire da sola e da due mesi può farlo anche con suo figlio: alle 8 lo accompagna all’asilo nido, alle 16 va a riprenderlo. Nel mentre, segue i percorsi personalizzati messi a disposizione dalla comunità”.

LE COMUNITÀ – Si arriva in comunità tramite i Servizi sociali, o per scelta propria o, spesso, dopo una sentenza del Tribunale dei minori. Una volta entrate, si svolge un percorso personalizzato che dura due o tre anni, in base alle esigenze della singola madre, con l’obiettivo di riacquisire l’indipendenza e la piena capacità di farsi carico dei figli. “Tutte hanno una dipendenza affettiva – spiega Beatrice Carini, responsabile di entrambe le comunità – a cui si aggiungono poi altre difficoltà, diverse per ognuna di loro”. I lavori vengono svolti da un’équipe coordinata di professionisti formata, oltre alla responsabile Beatrice Carini, da sette educatrici (di cui sei “di riferimento” alle mamme e un’educatrice all’infanzia), tre terapeuti (una psichiatra e psicoterapeuta individuale per le madri, una psicologa dell’area genitoriale e uno psicologo familiare) e infine un supervisore.

Luna stellata

 

La maggior parte delle madri arriva da fuori provincia. Fra i 14 bambini ospitati dalle due comunità, due sono neonati e tutti gli altri hanno fra i sei mesi e i sei anni di età. La Fondazione La Ricerca si è posta come età massima i dodici anni. “Appena hanno l’età idonea – dice Beatrice Carini – li iscriviamo al nido e poi alla scuola dell’infanzia. All’inizio pensiamo noi ad accompagnarli a scuola, dove restano dalle 8 alle 16. Quando escono, è il momento per stare insieme alla mamma o tutti insieme, oppure per una merenda fuori porta o un evento particolare in città. Per il primo anno le mamme non escono da sole, l’indipendenza è graduale e dipende dai singoli casi. Solo l’ultima tappa è la libertà di uscire insieme ai propri figli, che sono tutti presi in carico dal reparto di Neuropsichiatria infantile dell’Ausl di Piacenza”.

Beatrice Carini Luna stellata
Beatrice Carini

 

Dal punto di vista legale, la responsabilità genitoriale è in capo ai Servizi sociali, ma le madri vengono responsabilizzate e valutate in base ai progressi compiuti. “Quando entrano hanno scarse competenze genitoriali – spiega Carini -, il nostro obiettivo è quello di renderle autonome”. Il grado di autonomia raggiunto, insieme ad altri obiettivi, è un parametro chiave per “valutare” il percorso delle madri e determinarne le restanti tappe. Le due realtà hanno molte cose in comune: le mamme provengono tutte da un contesto socio-culturale arretrato e, grazie alla comunità, hanno l’opportunità di reinserirsi nella società e di evitare che il proprio figlio venga dato in affido a un’altra famiglia. A differenziare le due comunità sono i contesti d’origine, che richiedono percorsi leggermente diversi.

Luna stellata

 

Luna stellata

 

LUNA STELLATA – È la comunità pensata per le madri che hanno problemi di tossicodipendenza: a loro viene proposto un percorso di liberazione dalla droga senza per questo doversi separare dai figli. È una “casa speciale” che le ospita e si prende cura di loro e dei loro bambini, aiutandole a recuperare il rapporto affettivo. Le richieste arrivano a La Ricerca dal Servizio dipendenze patologiche (ex Sert) dell’Ausl di Piacenza e dai Servizi sociali. Nel cammino terapeutico di affrancamento da sostanze psicoattive viene garantito a ogni donna anche un supporto educativo al suo essere e riconoscersi madre favorendone lo sviluppo delle capacità affettive, cognitive e sociali. Si concorda con la madre un piano di trattamento adeguato alle proprie risorse e criticità, e al tipo di relazione sin qui instaurato con il bambino. Il “lavoro su se stesse” comporta una rielaborazione della storia personale e familiare ricevendo nel contempo un supporto per imparare ad assumersi la responsabilità – “gioie e dolori” – di essere genitore. Al termine del percorso è prevista una prova in appartamento protetto per permettere alla donna di sperimentarsi in una situazione di maggiore autonomia. La comunità propone percorsi individuali anche per donne tossicodipendenti in stato di gravidanza.

Stella del mattino

 

STELLA DEL MATTINO – Accoglie e protegge le madri che hanno avuto un vissuto difficile o che tuttora stanno vivendo in condizioni di grave difficoltà. Sono donne provate dalla vita, anche minorenni, che si ritrovano a dover affrontare la maternità quasi sempre in solitudine, spesso dovendo fuggire da situazioni drammatiche, da persecuzioni, pericoli, violenze. La comunità si pone l’obiettivo di ridare loro equilibrio e tranquillità: è infatti comprovato che risiedere con i propri figli in un luogo protetto consente a ogni madre di recuperare quelle condizioni di normalità che possono aiutarla a ritrovare in sé le risorse necessarie a riprendere in mano la gestione della propria esistenza e dei rapporti affettivi. Le richieste arrivano a La Ricerca dai Servizi sociali. Si punta al recupero di uno stile di vita armonico concordando con la madre un piano di trattamento adeguato alle proprie risorse e criticità e al tipo di relazione sin qui instaurato con il bambino. Ogni donna viene aiutata nella rielaborazione della propria storia personale spesso traumatica, e nel riassetto del rapporto educativo e affettivo con i figli, al fine di poter ripensare al proprio progetto di vita e migliorare il grado di autonomia. Il ripristino della relazione genitoriale è improntato sulla centralità del minore per assicurare il soddisfacimento delle sue necessità di crescita, ascolto, cura e protezione.

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